Rock in Roma, O meglio, Thrash in Roma. Come ha continuato a ripetere il cantante degli Exodus Steve Souza in uno dei suoi intermezzi tra una canzone e l’altra. E con ovvia ragione. Perché l’esibizione di quattro band che hanno fatto la storia del genere più in voga nella Bay Area californiana è di quelle “che ci volevano”.
C’è da dirlo: il Rock In Roma, rassegna della quale appunto faceva parte il concerto di Testament, Exodus, Death Angel e Heathen. La data è quella del 19 giugno, non aveva prodotto moltissime giornate di vero rock, tra performer della scena rap e trap italiana.
La Capitale era però stata scaldata a mestiere dai Litfiba il giorno precedente. Per arrivare poi alla serata spaccaossa con un genere come il thrash metal, con un sano ritorno al pogo di cui i romani – e non – avevano certamente bisogno.
E le attese non sono state tradite
abbiamo assistito a un’esibizione degna di tale nome, con tutte e quattro le band centrate e a fuoco sul palco dell’Ippodromo di Capannelle. Anche se, vista la grande capienza dell’area, la percezione della gente presente non era esagerata. Quello che invece è stato ripagato è stato il calore con cui il pubblico ha risposto a tutte le performance.
Heathen
Ad aprire le danze, puntuali come un orologio, sono stati alle 18 gli Heathen, come tradizione vuole provenienti da San Francisco. Ma in realtà anche da Cremona, dato che due giorni prima erano a infiammare il pubblico del Luppolo In Rock. (Assieme ai colleghi Testament ed Exodus).
A sensazione, a livello di decibel quella della band capitanata dal chitarrista Lee Altus è stata forse quella con i volumi più alti del quartetto. Ma gli Heathen hanno fatto vedere sul palco del Rock in Roma come siano un gruppo da tenere maggiormente in considerazione in tutta la scena. Mettendo sul piatto una scaletta da pogo immediato nonostante la non moltissima gente iniziale, pescando in qua e là dai pochi album a repertorio. Chiusura poi con il botto con Hypnotized. Il cui coro cantato dal pubblico lasciava già presagire che tipo di serata sarebbe stata anche con le band successive.
Death Angel
La bandiera di San Francisco viene tenuta alta dai Death Angel, bravi anche loro a coinvolgere il pubblico al suono degli iconici riff della band. Esibizione sul palco un po’ più statica rispetto ai colleghi precedenti, come da tradizione del collettivo di Rob Cavestany. Una delle band forse più “eleganti” del panorama thrash metal e, proprio per questo motivo, precisa e curata nei minimi dettagli. E ovviamente il pit non ha fatto mancare il suo apporto.
Exodus
I giri del motore sono già abbondantemente a pieno regime quando sul palco salgono gli Exodus, acclamatissimi da tutto il pubblico che, ad un certo punto, sembrava fosse lì proprio per loro. Gary Holt e compagni non tradiscono le attese, sfoderando un’esibizione spaccaossa fino all’ultimo colpo. Attingono dal loro repertorio pezzi che hanno fatto la storia, come Blacklist e Bunded By Blood, alternando brani del nuovo disco Persona Non Grata, uscito lo scorso anno.
Nemmeno a dirlo, l’esibizione è stata una bomba. E non è mancato qualche momento patriottico verso il pubblico italiano quando il batterista, Tom Hunting, ha preso una bandiera italiana e l’ha delicatamente apposta sulla propria batteria prima di concludere la propria esibizione.
Spiritato anche il cantante Steve Souza, in forma con la sua riconoscibilissima voce acida, sempre a fuoco fino alla fine del set.
Testament
È il momento dei Testament, che salgono sul palco e lanciano subito un trittico con Rise Up, The New Order e Pale King che serve a innescare la miccia. Il pubblico ancora non si infiamma del tutto, ma è questione di attimi. Non manca anche un siparietto con Chuck Billy che fatica a ricordare il pezzo successivo in scaletta.
Parte così Children of the Next Level, brano apripista dell’ultimo album The Titans of Creation – che fa anche bella mostra di sé sullo sfondo del palco – prima di passare a un grande classico come Practice What You Preach, che mette definitivamente a ferro e fuoco lo stage e il sottopalco dell’Ippodromo.
Altro trittico devastante arriva con WWIII, True Believer e DNR
che non fa altro che scatenare ancora di più il moshpit, adesso diventato una vera bolgia nella polvere di Capannelle. Altro gran pezzo tratto dal primo album è Night of the Witch, prima di passare a The Formation of Damnation.
Un bel solo di Steve DiGiorgio apre una spettacolare Souls of Black, nonché una seconda parte della scaletta farcita di classici che il pubblico apprezza oltremisura, passando poi a First Strike Is Deadly.
Over The Wall fa impazzire e cantare tutti, ma è su Into The Pit che l’essenza dei Testament esce fuori. Prima Chuck chiama il wall of death, poi il pubblico accende un fumogeno e si lancia in un circle pit da brividi, con al centro la fiamma rossa. Il tutto vale certamente il prezzo del biglietto.
L’intramontabile Alone in the Dark chiude una scaletta forse un po’ corta ma tutto sommato giusta, visto il format con cui è stata studiata l’esibizione, con le quattro band californiane tutte di altissimo livello.
Conclusioni
Insomma, i Testament sono in forma e lo dimostrano da come suonano, da come si muovono sul palco e da come si divertono. Il basso di Steve DiGiorgio esce fuori dal coro come solo lui sa fare, così come le chitarre di Alex Skolnick ed Eric Peterson, che si alternano nei soli e giocano spesso tra armonizzazioni e ammiccamenti vari. Forse un po’ impastata nel mix la voce del buon Chuck, comunque sempre precisa e potente nei suoi cambi, specialmente sui growl dove esce fuori tutta la sua cassa toracica. Poco protagonista, diversamente da come ci saremmo aspettati, la batteria di Dave Lombardo, comunque sempre in palla, precisa e potente.
E i Testament hanno davvero infiammato Roma, così come prima di loro hanno fatto Heathen, Death Angel ed Exodus. In conclusione, è il caso di dire, viva Thrash in Roma.