Il Libro Rockers, diario sulle strade del Rock ‘n’ Roll è disponibile in tutte le librerie attraverso la casa editrice Officina di Hank. L’autore, Fausto Donato è l’ A&R Manager e direttore artistico che ha lavorato per più di trent’anni nelle più prestigiose case discografiche italiane.
Dopo una sola settimana dalla sua uscita, il libro ha raggiunto il primo posto tra le novità più interessanti di Amazon nella sua categoria. Noi abbiamo rivolto qualche domanda all’autore per farci raccontare la sua esperienza.
Ciao Fausto, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande e benvenuto su Rock My Life. Probabilmente sei nel posto giusto per raccontare la tua storia. Nelle tue vene scorre musica, Rolling Stones, chitarre distorte e riff frenetici che ti accompagnano fin dall’infanzia. Ricordi il primo concerto rock che hai visto?
Il primo concerto a cui ho assistito nella mia vita fu il concerto dalla band di mio fratello franco. Si chiamavano “I Volanti”. Suonavano un repertorio di cover rhythm and blues, soul, rock and roll. Era una band che faceva feste di piazza, nulla di che. Io avevo 9 anni e rimasi fulminato dalla batteria, dal suono che produceva e già quel giorno decisi che avrei voluto fare quella “cosa”, ovvero salire su un palco e suonare davanti a un pubblico.
Poi in realtà il primo concerto a pagamento che vidi fu quello della PFM al Palasport di Roma. Avevo 14 anni e all’epoca c’erano pochissimi concerti in Italia per via dei disordini e contestazioni politiche che si scatenavano sistematicamente all’esterno dei palasport. Non era esattamente un concerto rock, ma quasi.
Da spettatore diventi ben presto protagonista. Infatti, tra le altre cose il tuo libro racconta di un tour negli USA in cui la tua band ha aperto concerti al fianco di Iron Maiden, Ramones, Exodus ecc… Eravate consapevoli di ciò che vi stava accadendo e di ciò che sarebbe poi stata la vostra carriera?
Aprimmo per le band che citi nella domanda non negli States ma in Italia. Nel 1980 i Ramones a Roma Castel Sant’Angelo e nel 1981 gli Iron Maiden a Padova e Milano. In America aprimmo solo per i Dead Kennedy’s e fu altra storia. Non fummo mai consapevoli di ciò che ci stava accadendo perché eravamo estremamente concentrati a goderci quei momenti, quelle ore straordinarie. Mai pensammo che da lì poi qualcosa sarebbe potuta accadere. Non siamo mai stati calcolatori e acuti imprenditori di noi stessi. Lì ci sarebbe servito un buon manager…
Parliamo di una collaborazione importante. Hai affidato la prefazione di Rockers, diario sulle strade del Rock ‘n’ Roll a Caparezza. Oltre al rapporto professionale so che vi lega anche una profonda amicizia. Perché hai scelto proprio lui per questo libro?
23 anni di rapporto praticamente quotidiano, questi siamo io e Michele. Tante ore passate sulla musica, la sua musica ovviamente, e tante ore passate a parlare di vita, fare viaggi, cazzeggiare, tirare fuori idee assurde che parecchie volte poi sono diventare realtà. Come questo libro.
Raccontandogli aneddoti e parecchie delle storie contenute in queste pagine, lui spesso mi spronava a scrivere, a mettere tutto su carta. Insomma un giorno finalmente mi sono deciso e lui subito mi rispose si quando gli chiesi se aveva voglia di scrivere due righe di prefazione.
Fra tutti i ricordi racchiusi in questo diario di viaggio ci sono “decine di aneddoti che trasudano Rock ‘n’ Roll”. Noi di Rock My Life siamo più che convinti che oltre ad essere un genere musicale sia soprattutto uno stile di vita. Diciamo sempre che le vere borchie sono quelle che abbiamo dentro. Sei d’accordo?
Sono molto d’accordo. Il titolo del libro non è un caso. Oltre ad essere il titolo di una delle mie canzoni preferite della band, i Raff, secondo me racchiude ciò in cui in tanti si possono rivedere. Rocker non è solo girare con i jeans stracciati e il giubbotto di pelle, o con la maglietta degli Iron Maiden e farsi le foto con la lingua di fuori mentre fai le corna con le mani.
Rockers può essere, e credo sia, chiunque abbia scelto di fare la vita che vuole fare, il lavoro che vuole fare, felice della scelta che ha fatto. Dall’ avvocato al postino, dal fabbro all’astronauta, dall’ostetrica allo chefLa libertà di animo e di spirito, secondo me marchia il rocker a vita.
Tu Fausto hai vissuto in pieno tutta l’epoca dell’analogico, del vinile, della musica suonata con strumenti veri. Con l’avvento del digitale sicuramente molte cose sono diventate più semplici, ma ultimamente sembra ci sia una riscoperta di ciò che ci ha preceduto. Anche se quell’epoca non tornerà più possiamo dire che forse è tutt’altro che morta e sepolta. Cosa ne pensi?
Sembrava morta e sepolta, ma per fortuna non lo è e credo non lo sarà mai. È la qualità’ che vince sempre e nessuna tecnologia potrà mai prendere posto del fattore emotivo che crea un rito come quello dell’ascolto di un vinile o il suono di uno strumento vero. Il mercato del vinile, da zero che era qualche anno fa, adesso è in continua crescita. Certo, i numeri dello streaming sono e restano ancora molto alti a confronto del fisico, però è bello e fa pensare vedere tantissimi ragazzi sotto i 25 anni che comprano vinile e lo preferiscono alle cuffiette del cellulare. Stesso dicasi per gli strumenti veri.
Hai lavorato anche come giornalista per delle testate di riferimento nel panorama della musica italiana e non solo. Qual è l’aspetto che più amavi e che più ami della scrittura “about music”?
Nel periodo in cui ho lavorato come giornalista e redattore per testate musicali avevo come direttori e colleghi delle firme davvero importanti del giornalismo musicale. Avevo solo e sempre da imparare. Non era facile stargli dietro, ma è stata un’incredibile scuola di giornalismo. Ciò che amavo di più era la preparazione ad un intervista, l’approccio all’artista. Dovevi conoscere tutto e di più. Mai andare impreparato e improvvisare, ti avrebbero distrutto.
Mi interessava molto il confronto con gli altri colleghi, le chiacchiere fino a notte fonda sull’esito dell’intervista e sul personaggio che avevo appena incontrato. Aspettare di vedere la tua intervista, recensione, pubblicata, leggerla e fare dove c’era bisogno autocritica su ciò che poteva essere scritto meglio o diversamente. Scrivere era un atto di grossa responsabilità. Almeno io lo vivevo così.
Vogliamo salutarti chiedendoti un’opinione e anche un consiglio, per tutti coloro che si avvicinano al mestiere del giornalista nel settore musica. Ne vale ancora la pena? Grazie per essere stato con noi!!!
Fare il giornalista musicale ? Ne vale sempre la pena. Solo però se davvero si vuole fare con un giusto criterio di analisi e critica, che va al di la dei propri gusti. Altrimenti meglio non farlo. Serve conoscere molto bene il passato della musica per poter analizzare bene e “giudicare” il presente. Bisogna ricordarsi sempre che non è bella soltanto la musica che gira nel proprio iPhone.
Potete trovare Rockers, diario sulle strade del rock ‘n’roll qui:
https://www.mondadoristore.it/Rockers-Diario-sulle-strade-Fausto-Donato/eai979128013384/